sfondo
logo anmi blu

Precetto Pasquale a Materdomini

Domenica 2 aprile 2017.

Il gruppo ANMI di Santa Maria di Castellabate ha partecipato al Precetto Pasquale organizzato dal gruppo di Avellino.
Tenutosi presso il Santuario di San Gerardo di Materdomini (AV) era presente anche il gruppo di Salerno.
La Santa Messa è stata officiata dal Vescovo della diocesi, immancabile la lettura della Preghiera del Marinaio.
Seguito dopo la funzione, il classico pranzo sociale.

Nel 2019 il XX Raduno Nazionale dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia (ANMI)

Salerno diventa la capitale del mare. L’Associazione Nazionale Marinai d’Italia (ANMI) ha scelto Salerno quale sede per il XX raduno nazionale che si terrà a settembre 2019. Questa mattina, a Palazzo di Città, il sindaco di Salerno Vincenzo Napoli ha incontrato il presidente nazionale, l’Ammiraglio di Squadra (r) Paolo Pagnottella, accompagnato dal segretario generale, il contrammiraglio (r) Alessandro Di Capua e dal responsabile del cerimoniale, contrammiraglio (r) Massimo Messina. All’incontro hanno partecipato anche l’assessore alla Pubblica Istruzione Eva Avossa, il presidente del gruppo ANMI Salerno, Matteo Prota e Giuseppe Palatucci consigliere del medesimo gruppo.

Per statuto dell’associazione, il raduno avviene ogni quattro anni, prediligendo una volta una città del Nord, poi una del Sud e infine una del Centro Italia. Nel 2015 la manifestazione si è tenuta a Ravenna. Per l’edizione 2019, due le città che si erano proposte per il Sud: Taranto e Salerno. Nell’ultimo consiglio direttivo nazionale, su votazione, Salerno è risultata la vincitrice. Si aspettano almeno quindicimila persone che parteciperanno all’evento. In Campania solo una volta l’ANMI ha organizzato il raduno, nel lontano 1955 a Napoli.

Fonte: La Città di Salerno

TRATTO DA: La voce del marinaio

…fu il nostro controspionaggio navale a compiere l’impresa che smascherò i sabotatori della “Brin” e della “Leonardo“.

Cartolina d'epoca - Copia

Gli avvenimenti.

Quindici minuti prima delle ore otto, il 27 settembre 1915, il sole era già alto sul mare davanti a Brindisi. La “Benedetto Brin“, bellissimo mostro di ferro alla fonda, inalberava l’insegna ammiraglia con una cerimonia sbrigativa ma austera. Sulla corazzata la vita ricominciava: gli ufficiali davano ordini secchi, i marinai correvano sulla tolda, sottocoperta le macchine ruggivano.

Alle otto precise la tragedia, improvvisa, senza preavviso e perciò ancor più drammatica. Una esplosione tremenda, dal ventre profondo della nave, squassò il mare. Non ci furono contraccolpi, né la massa immensa di ferro fu minimamente sollevata: fu udito soltanto un rombo immane come se mille cannoni avessero sparato all’unisono e subito dopo la corazzata scomparve alla vista, avvolta da un fumo giallo rossastro che si alzò fino a cento metri. Sulle banchine del porto, sulle tolde delle altre navi la vita si fermò.

Regia Nave Da Vinci - Copia

Tutti puntarono gli occhi sulla nube rossa che galleggiava là dove prima dondolava la “Brin”. Pochi attimi di attesa e poi la tragedia apparve in una visione che l’orrore e il panico rendevano al rallentatore. Il mostro non tentò di reagire, scivolò di fianco, prima la poppa poi la prua.
Si organizzarono i soccorsi dal porto e dalle navi. Sulla “Brin” si udivano soltanto i lamenti dei feriti, marinai imprigionati da lamiere contorte, altri bloccati nei boccaporti; i vivi dominavano il panico; nessuno lasciò la nave prima che fosse dato l’ordine.
Rimorchiatore e scialuppe caricarono con ordine i superstiti. In un’ora l’operazione di salvataggio era completata. All’appello non risposero 21 ufficiali su trenta; 433 tra sottufficiali e marinai su 906. La corazzata si era portata in fondo al mare 454 uomini.

Prime versioni

In un primo momento la versione ufficiale parlò di esplosione della “santa barbara”. Una speciale commissione d’inchiesta si mise subito al lavoro.
Sulla scia dei primi accertamenti si creò un’ondata di nervosismo. Comparvero sui giornali le prime critiche. La commissione d’inchiesta continuava i suoi lavori, lasciando intuire una nuova ipotesi: sabotaggio.

La rete di spie che gli austro-tedeschi avevano teso in tutta Europa funzionava da anni. Era una guerra segreta, parallela a quella combattuta sui fronti, intessuta di intrighi e tradimenti. Un’arma invisibile che aveva già dato risultati efficaci, riuscendo a sabotare officine, fabbriche e arsenali.

Gente comune o esperti?

La commissione trasmise al nostro controspionaggio i propri sospetti, che erano anche quelli della gente comune. E il nostro servizio segreto si mise alla caccia dei traditori. Ma la strada era lunga e costellata da altre tragedie. La più spaventosa accadeva pochi mesi dopo, nell’estate del 1916. Quella sera, il 2 agosto 1916, il Mar Piccolo di Taranto pareva una foresta, con gli alberi della prima squadra navale azzurrati dal mascheramento notturno. Era una notte senza luna e afosa; l’insegna ammiraglia sulla “Cavour” giaceva afflosciata, come le bandiere delle altre navi da battaglia: “Andrea Doria“, “Giulio Cesare“, “Duilio“, “Leonardo da Vinci“, “Dante Alighieri“.

I marinai erano rientrati dalla libera uscita, alle 22 il trombettiere aveva suonato il “brand’abbasso”. Alle 23, mancavano pochi minuti, la “Leonardo da Vinci”, fu scossa da un rombo sordo che saliva dal fondo. Lo scafo per un istante tremò e anche gli alberi di poppa e di trinchetto ondeggiarono violentemente. Poi tornò il silenzio.

Alcuni ufficiali, corsi in coperta, notarono un filo di fumo rossastro uscire dai boccaporti della torre corazzata. Il pericolo di un incendio era serio: là sotto infatti si trovava la “santabarbara”. Esplosioni sempre più frequenti squassavano il ventre della nave, a prua e a poppa; le piastre del ponte si schiodavano; la luce mancò. Per parecchi minuti il panico sconvolse l’ordine delle operazioni che gli ufficiali stavano ordinando. Dall’ascensore delle munizioni una fiammata irruppe in coperta. Gli uomini ammassati a prua si gettarono in acqua, ma centinaia di marinai erano ancora ai loro posti sottocoperta.

RN benedetto brin - CopiaAlle 23:40 l’esplosione.

La “Leonardo” si spaccò in tanti crateri, con un rombo che percorse l’aria per molte miglia attorno. Fiamme altissime illuminavano la notte; i marinai venivano inghiottiti nelle voragini prodotte dagli scoppi. Alle 23:45 la corazzata si capovolgeva: cominciava un’agonia che non sarebbe stata lenta.
Persero la vita, con 249 marinai, 21 ufficiali; fu distrutta una delle nostre più belle e moderne corazzate.
La catastrofe fu grave. Insieme con la perdita della “Brin”, quella della “Leonardo” decimava la potenza della nostra flotta; ma la sciagura gettava nello sgomento l’opinione pubblica, nella quale si diffondevano la certezza e la paura di essere in balia dei sabotatori.

Non solo le due grandi navi “Benedetto Brin” e “Leonardo da Vinci” sono le vittime dei sabotatori.

Un vasto incendio distrugge una intera calata del porto a Genova. Salta in aria a Livorno il piroscafo “Etruria”. Un hangar dei dirigibili della marina brucia ad Ancona. Salta il dinamitificio del Cengio. Gravi danni subisce per uno scoppio la centrale idroelettrica di Terni. Più terribile di tutti, un carro ferroviario carico di proiettili navali in partenza dalla fabbrica di munizioni di Pagliari (La Spezia), esplode con terrificante violenza: tra civili e militari muoiono 265 persone. Subito dopo, sabotaggio anche alla stazione di Vallegrande, per fortuna senza vittime.

La guerra rischia di subire una svolta drammatica per l’Italia a causa di un piano terroristico abilmente ordito e che dispone chiaramente di diramazioni e di complicità all’interno del paese. Bisogna combattere subito questo pericolo gravissimo.
Come al solito, é una fortuita e imprevedibile circostanza a mettere sulla buona pista le indagini.

Un sospettato in arresto

Un uomo viene arrestato dai Carabinieri proprio mentre sta piazzando una potente carica di dinamite sotto la diga del bacino idroelettrico delle Marmore Alte, presso Terni. La cattura del sabotatore è importante anche perché conferma un sospetto già radicato nel controspionaggio: si tratta di un italiano, il nemico fa leva su gente disposta a tradire per denaro la patria in guerra. Quasi contemporaneamente altri due individui minano le centrali elettriche del Chiamonte e del Sempione, ma all’ultimo istante uno si pente, si costituisce e parla.

Leonardo Da Vinci _2 - Copia

Nella rete che gli austriaci stanno tessendo per colpire al cuore l’Italia, comincia ad aprirsi una falla.
Chi si mette al lavoro per primo è il servizio di controspionaggio della Marina, anche perché la Marina è stata la più duramente colpita. Lo dirige il Capitano di Vascello Marino Laureati, i mezzi sono pochi, gli uomini meno ancora, ma adesso – di fronte alla gravità dei fatti – il Governo si scuote e qualcosa di concreto (in denaro e in specialisti) viene assegnato a Laureati.

Il Capitano si muove bene.

Dagli interrogatori dei sabotatori arrestati, e dalle confidenze strappate all’estero da nostri agenti segreti, oltre che dalle notizie fornite dagli informatori, riesce ad accertare che il centro organizzativo dell’azione terroristica si trova in Svizzera. Precisamente a Zurigo, nella sede del consolato austriaco in quella città. Chi tira le fila è il Console in persona, il quale in realtà è un Capitano di Corvetta della Imperial Regia Marina di Vienna.

Rudolph Mayer

Il suo nome è Rudolph Mayer, la sua disponibilità di fondi pressoché illimitata, le sue offerte in cambio dei sabotaggi compiuti sulle navi, strabilianti. Per un sommergibile, 300 mila lire, per un incrociatore, 500 mila; per una corazzata, un milione. Denaro di allora. In cifre d’oggi, bisogna moltiplicare almeno per mille: ciò significa che l’affondamento della “Brin” ha reso al sabotatore un miliardo. Di fronte a quelle somme, il traditore si trovava sempre.

Prime mosse

La prima mossa di Laureati è di coinvolgere un abile ufficiale di Marina, il Capitano di Corvetta Pompeo Aloisi, diplomatico di carriera. Viene inviato in Svizzera, alla legazione di Berna, e si mettono a sua disposizione alcuni dei più abili seguaci italiani. Aloisi comincia a studiare la situazione e a far sorvegliare la palazzina dove ha sede il consolato austriaco.
Il piano che prepara è arditissimo: entrare nell’ufficio di Mayer, aprire la cassaforte, portar via i progetti dei sabotaggi e le cartelle dei sabotatori, smascherando così l’intera organizzazione.

Al ministero della Marina fanno sapere che non vogliono entrarci.

Il “colpo” può suscitare complicazioni internazionali pericolosissime, nessun ufficiale della Marina deve esservi materialmente coinvolto. La cosa si faccia, ma senza compromettere nessuno.
Laureati parla con Aloisi, gli dice che lui è d’accordo: si proceda.

Comincia una delle più strabilianti imprese spionistiche di tutti i tempi.

siloutte Da Vinci - Copia

Si reclutano i partecipanti al “colpo”. In primo luogo l’avvocato Livio Bini, di Livorno, un rifugiato a Zurigo che è stato colui che ha segnalato il covo di Mayer. Poi due ingegneri triestini, ottimi agenti segreti: Salvatore Bonnes e Ugo Cappelletti. Infine, gli “uomini di mano”: il marinaio Stenos Tanzini, di Lodi, divenuto sottocapo per le sue doti di tecnico e di specialista torpediniere, già arruolato nel controspionaggio navale. Sarà lui il capo della pattuglia.

Poi un meccanico profugo triestino, Remigio Bronzin specialista nel fabbricare chiavi. Ancora, un agente di Mayer che fa il doppio gioco, di cui non si saprà mai il nome e che agisce dall’interno del consolato. Infine, uno scassinatore professionista. Si chiama Natale Papini, è di Livorno, sono andati a pescarlo in carcere dove si trova per avere svaligiato una banca di Viareggio, è uno specialista nell’aprire casseforti. Lo convincono facilmente: o a Zurigo per l’impresa, e dopo libero e compensato o subito al fronte.

L’équipe è pronta.

Mentre si osserva dall’esterno tutto quanto si svolge nella palazzina (abitudine degli impiegati, orari, aspetto fisico, frequentatori, vie d’accesso, ronde di polizia, ecc.), l’agente del doppio gioco comincia a fornire le prime indicazioni preziose. Dice dove si trova la cassaforte e qual è, ma avverte anche che per giungervi bisogna passare attraverso ben sedici porte, di ognuna delle quali occorre possedere la chiave. Pensa lui a fornire le impronte e presto questa che sembrava una difficoltà insormontabile è superata.

Gli uomini di Tanzini hanno le sedici chiavi in questione.

Infine, si disegnano addirittura le piante degli uffici, si traccia la strada, si scelgono i tempi dell’assalto. Si stabilisce che si tenterà la notte del 22 febbraio 1917, perché è Carnevale e in quell’occasione la sorveglianza della polizia è rallentata, la gente ha altro da fare che interessarsi alla palazzina del consolato austriaco. Al giovedì grasso, mentre il resto d’Europa è in guerra, Zurigo impazza tra veglioni e coriandoli.

Carichi di pacchi e di valigie (bisogna portare anche la fiamma ossidrica per Papini, i teloni di spesso panno blu per oscurare le finestre), si muovono a notte fonda in quattro: Tanzini, Papini, Bronzin e Bini. Entrano inosservati, si muovono sicuri, aprono una dopo l’altra le sedici porte. Si fermano davanti alla diciassettesima, non prevista da alcuno: l’agente doppio l’aveva sempre vista aperta e non pensava che anche quella fosse chiusa di notte. Bisogna desistere. La sorpresa è terribile.

Si raccoglie il bagaglio e si torna sui propri passi.

Si ricomincia da capo con assillante premura. Compiendo autentici miracoli, l’agente doppio fornisce lo stampo della diciassettesima porta a tempo di record. Bronzin fabbrica la chiave. Si decide di ritentare nella notte del ventiquattro, sabato grasso: i due guardiani del consolato saranno assenti, un grosso cane lupo che circola all’interno del giardino verrà addormentato col cloroformio.

Alle ventuno in punto i quattro aprono la porta della palazzina del consolato austriaco e, una dopo l’altra, le sedici porte successive già aperte la volta precedente. Anche la diciassettesima cede e finalmente si arriva nell’ufficio di Mayer, dove si trova la cassaforte da svaligiare. Vengono subito oscurate le finestre con i panni neri per impedire che trapeli luce. Tanzini accende una grossa torcia portatile. Sotto, in strada, a far la guardia, restano Bonnes, Cappelletti e Bini. Dentro, Papini si mette all’opera con la fiamma ossidrica. Aloisi ha calcolato i tempi: se tutto andrà bene, l’operazione durerà poco più di un’ora.

Ne durò quattro.

Le pareti d’acciaio della cassaforte resistevano all’attacco, Papini dovette lavorare fino all’esaurimento della resistenza fisica. Quando riuscì a perforare la parete esterna, fuoriuscì un getto di gas venefico, perché gli austriaci avevano fatto ricorso anche a quel marchingegno per garantirsi al massimo contro gli assalti di eventuali scassinatori. Bisognò spegnere la luce, aprire le finestre per far uscire il gas, poi Papini si rimise all’opera coprendosi il naso e la bocca con un panno bagnato, bevendo ogni tanto lunghe sorsate dell’acqua d’un vaso da fiori per placare l’irritazione della gola.

Era l’una passata del mattino quando si poté mettere le mani sul bottino.

Documenti, codici di cifratura, l’elenco completo delle spie austriache in Italia, il numero dei conti correnti della banca di Lugano dove venivano depositate le somme loro pagate per i sabotaggi, i piani per i futuri attentati (e fu così che si apprese che gli austriaci si stavano preparando a far saltare la “Giulio Cesare” nel porto di La Spezia: e si intervenne in tempo). Nella cassaforte vi era anche una grossa somma di denaro, 650 sterline d’oro e 875 mila franchi svizzeri che passarono al controspionaggio della Marina.

La refurtiva

Inoltre gioielli e una preziosa collezione di francobolli, subito depositati presso il ministero della Marina a Roma.
Con tre valigie piene di materiale il “commando” esce dal consolato all’una e mezzo di notte. Nessuno se ne cura. Tanzini e Papini portano le tre valige in stazione. Bini va a casa. Bronzin invece si reca al consolato italiano ad avvisare gli agenti Cappelletti e Bonnes che tutto è andato bene. Poi Bonnes e Bronzin ragiungono Tanzini e Papini alla stazione e partono insieme con loro per Berna, dove Aloisi li attende distrutto dall’ansia.

Arrivano alle otto del mattino, Bronzin e Papini proseguono per l’Italia. Per guadagnare tempo e impedire che lo scasso fosse scoperto troppo presto, Bronzin ha spezzato una chiave nella serratura dell’ufficio di Mayer, così che i custodi il mattino successivo dovranno avvertire il capitano austriaco che l’uscio non si apre, si ricorrerà a un fabbro, passerà del tempo e i nostri avranno agio di prendere il largo indisturbati.
A Berna, Bonnes consegna le valigie ad Aloisi e subito fanno lo spoglio del bottino. Tocca a Bonnes stesso, che conosce il tedesco, tradurre i testi.

Subito ci si rende conto dell’importanza del “colpo”.

Basti dire che i due si trovano in mano la relazione completa dell’affondamento della “Leonardo” (con le iniziali del nome dell’affondatore, ing. I. F.) e i piani per far saltare la “Giulio Cesare”.
Il giorno dopo Aloisi parte per l’Italia con i documenti più importanti e con i valori rinvenuti, mentre Bonnes prosegue a Berna lo spoglio e la traduzione: passati alcuni giorni, anche lui raggiunge il barone Aloisi nella capitale.
E’ stato un trionfo.

Quali i risultati?

Vennero fatte retate di spie. Si fecero due o tre processi, conclusi con un pugno di mosche. Alcuni nomi di colpevoli sparirono dalle carte, documenti interessanti vennero strappati o mutilati, personaggi grossi che avrebbero dovuto essere coinvolti restarono nell’ombra. La verità non giunse mai a galla e ogni cosa finì in un insabbiamento generale. I morti di Taranto e di Brindisi, morti per di più per mano assassina di traditori italiani, non ebbero giustizia.

Scambio di auguri come ogni anno in sede. L’Associazione Nazionale Marinai d’Italia Gruppo di Santa Maria di Castellabate organizza un incontro conviviale con i suoi Soci.

Presente anche il Sindaco di Castellabate Costabile Spinelli con una rappresentanza dell’Amministrazione Comunale. Tra gli invitati il Comandante dell’Ufficio Locale Marittimo di Castellabate 1° Maresciallo Np DIACO Gennaro.

Festa delle Forze Armate e Commemorazione dei Caduti di Nassirya

Come di consueto anche quest’anno l’ANMI di Santa Maria di Castellabate ha partecipato alla Festa delle Forze Armate e alla Commemorazione dei Caduti di Nassirya, organizzata dal Comune di Lustra.

COMMEMORAZIONE DELL’AFFONDAMENTO DEL SOMMERGIBILE VELELLA – SERVIZIO TELEVISIVO INTEGRALE A CURA DELL’EMITTENTE TELEVISIVA CILENTO CHANNEL DI AGROPOLI.

Galleria fotografica della manifestazione in memoria dei caduti del Velella.

velella

Di Antonio Vuolo – Il 7 settembre 1943 è stato affondato il sommergibile Velella veniva affondato nei pressi dell’isolotto di Punta Licosa, a Castellabate. In occasione del 73esimo anniversario, l’associazione locale dei Marinai d’Italia ricorderà i 52 marinai caduti l’11 settembre con una cerimonia di commemorazione. Il Velella, partito dal porto di Napoli per contrastare lo sbarco degli Alleati, fu silato dal sommergibile inglese Shakespeare nelle acque del Cilento. Nell’incidente, morirono 52 marinai. Una tragedia che, tuttavia, poteva essere evitata perché pochi giorni prima del siluramento era stato sottoscritto l’armistizio fra le autorità militari italiane e quelle Alleate. Nonostante ciò, per ragioni militari e politiche, la notizia fu tenuta segreta fino all’8 settembre e non servì ad evitare la tragedia.

Ancora oggi, il Velella riposa sul fondale di Punta Licosa, a circa 120 metri di profondità. La cerimonia di commemorazione avrà luogo, invece, l’11 settembre 2016 alle ore 9.30 da piazza Antonio Mondelli (adiacente caserma dei Carabinieri), con deposizione di una corona d’alloro per ricordare il carabiniere Antonio Mandelli, Medaglia d’Argento al Valor Militare. Seguirà un defilamento per le vie del paese con l’arrivo in piazza Punta dell’Inferno. E poi, ancora, la cerimonia dell’Alza Bandiera e la deposizione di una corona al Monumento ai Caduti del Mare. Infine, la Santa Messa celebrata dal parroco del Santuario di Santa Maria a Mare, Don Roberto Guida. Come lo scorso anno, sarà presenta alla cerimonia il veliero del Gruppo Anmi di Salerno per la deposizione della corona a mare.

Il Mattino di Salerno

Anche quest’anno l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia – Gruppo di Santa Maria di Castellabate con il Patrocinio del Comune di Castellabate, organizza la commemorazione del 73° anniversario del Sommergibile Velella affondato quel tragico 7 settembre 1943 per mezzo dei siluri lanciati dal Sommergibile Britannico Shakespeare.

La cerimonia avrà luogo l’11 settembre 2016 alle ore 9.30 da piazza Antonio Mondelli (adiacente caserma dei Carabinieri), con deposizione di una corona d’alloro per ricordare il Carabiniere Antonio Mondelli Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Segue defilamento per le vie del paese con la presenza della locale Banda Musicale di Santa Cecilia di Castellabate. L’arrivo a piazza punta dell’inferno.

In seguito cerimonia dell’Alza Bandiera e poi deposizione della corona d’alloro nei pressi del Monumento ai Caduti del Mare.

Segue Santa Messa celebrata dal parroco del Santuario di Santa Maria a Mare Don Roberto Guida.

Come lo scorso anno, anche quest’anno prende parte alla commemorazione del 73° anniversario del sommergibile Velella, il veliero del Gruppo ANMI di Salerno. Infatti, per la deposizione della corona a mare sarà impiegato l’equipaggio.

Per maggiori informazioni contattaci ai seguenti numeri:

  • Presidente Costabile  Squillaro 3336364341
  • Consigliere Gabriele Pinto 3333691557
  • Segretario Lgt Giannicola Guariglia 3391932651

Dopo la cerimonia in oggetto ci sarà un pranzo conviviale con tutti i gruppi delle Associazioni marinai d’Italia che hanno preso parte alla manifestazione.

L’Associazione Nazionale Marinai d’Italia ha organizzato con la partecipazione dei suoi Soci il Precetto Pasquale.

Incontro conviviale tra Associazione Nazionale Marinai d’Italia di Santa Maria di Castellabate e il Comandante della Guardia Costiera di Agropoli T.V. (CP) Gianluca Scuccimarri e il Comandante dell’Ufficio Locale Marittimo di Castellabate C°1 cl Np Pasquale De Vita. Presenti in sede anche una rappresentanza dell’Amministrazione Comunale di Castellabate con il Sindaco Costabile Spinelli, il Vice Sindaco Luisa Maiuri e il Consigliere Salvatore Marinelli.

Il Velella d’acciaio articolo inchiesta

ll sommergibile affondò 72 anni fa: fu l’ultimo perso nella guerra contro gli Alleati di DOMENICO NOTARI

Porticciolo di Punta Licosa in un calda giornata di settembre. Disteso sugli scogli, dopo l’ultimo tuffo di stagione, osservo curioso i bagnanti. Un bambino fissa affascinato un piccolo dischetto pulsante, di un blu elettrico, che naviga verso riva. Ha una piccola membrana trasparente che, a mo’ di vela, cattura la brezza e lo fa avvicinare inesorabilmente agli scogli. Nascondo a stento il mio entusiasmo e mi trattengo dal correre verso quel piccolo prodigio.

Mi limito a osservarlo da lontano, anch’io con occhi infantili. È una medusa: una velella o barchetta di San Pietro. Seguirà lo stesso destino delle altre, già spiaggiate a centinaia tra gli scogli. Forse spaventato da tanta bellezza, o forse proprio per preservarla, il bambino all’improvviso raccoglie un sasso ed entra in acqua.

La medusa centrata in pieno affonda, risucchiata dalla scia del sasso. La scena, in maniera istantanea, mi rimanda a un’altra immagine: un sommergibile della Regia Marina che si chiamava come la medusa. Quel nome non gli portò fortuna né la portò ai 50 uomini del suo equipaggio: il comandante Mario Patanè, il suo secondo Vittori, il guardiamarina Bazzani, l’aspirante guardiamarina Novellini, il direttore di macchina Serrati, il sottotenente del genio navale Bandini e gli altri 44 uomini, tra sottufficiali e comuni.

La Velella d’acciaio giace a nove miglia al largo di Punta Licosa, a 137 metri di profondità, latitudine 40°15’N, longitudine 14°30’E, come rilevato nel 2003 da una spedizione di sommozzatori dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia – Sezione Santa Maria di Castellabate. Affondò in un giorno altrettanto caldo di 72 anni fa, il 7 settembre del ’43 – ultimo sommergibile italiano perso nella guerra contro gli Alleati.

Missioni

Uscito nel ’37 dai cantieri di Monfalcone, il Velella solca con alterne fortune l’Egeo, il Mar Rosso, l’Atlantico e infine il Mediterraneo, chiamato a contrastare lo sbarco anglo-americano in Sicilia. Colpito da un aerosilurante davanti alle coste pugliesi, si salva per miracolo. Ma l’appuntamento con il destino è solo rinviato: la sua “Samarcanda” è nelle acque di Salerno. Prima un ultimo scalo: il porto di Napoli. Qui avviene l’incontro tra Domenico Fabbricini, un ragazzo quindicenne di Portici, e il comandante.

Il ragazzo gli chiede di visitare il sommergibile. Patanè lo fa salire a bordo, vedendo in lui il figlio che ha lasciato ad Acireale. Caratteristiche e prestazioni del Velella resteranno impressi nella memoria eccitata del ragazzo: lunghezza 63,14 metri, larghezza 6,90, stazza 810 tonnellate, velocità 14 nodi in navigazione di superficie e 8 in immersione, profondità massima 100 metri.

Il suo sguardo è rapito soprattutto dalle armi: 4 mitragliatrici antiaeree in plancia di comando, cannone da 100 mm sul piano di coperta, tubi di lancio a poppa e a prua. Tra Domenico e il comandante nasce spontanea un’amicizia. Possono una breve visita e qualche battuta di un uomo taciturno segnare per sempre il destino di un ragazzo?

Mario Patanè, per un attimo presago del suo destino incombente, all’improvviso gli parla di morte: “Sai qual è la miglior tomba per un marinaio?”

Il sorriso di Domenico si spegne di colpo. “Il mare?” balbetta.

“Bravo! Ma io preferirei una tomba da contadino: una gialla distesa di grano”.

L’Armistizio

L’armistizio è stato già firmato il 3 settembre, ma il gruppo di cospiratori che ha trattato la resa con gli Alleati – il Re e Badoglio in testa – non prende nessuna misura per prevenire le conseguenze di quell’atto e non ne informa i vertici militari. Nel nome del segreto di Stato, vengono abbandonati al loro destino 800.000 soldati. Anche se poi quel segreto è infranto dagli stessi Badoglio e Ambrosio.

I galantuomini hanno una missione ineludibile: salvare la famiglia. Il 4 settembre, il Maresciallo manda in Svizzera figlia, nuora, nipoti e denari. Il 5, il capo di Stato Maggiore Generale abbandona il comando e parte per Torino, ufficialmente per salvare i mobili di casa. Solo il Re, trasferitosi – dice lui – per proteggere la monarchia, si rivela tutto d’un pezzo, abbandonando la figlia Mafalda, la nuora e il nipotino – l’erede al trono – alla mercé dei tedeschi.

Al consigliere americano Murphy che gli chiede – dopo la fuga – se possa far qualcosa per lui, risponde: “Non sono stato in grado di trovare delle uova fresche. È possibile acquistarne una dozzina?”.

Il 7 settembre, all’oscuro di tutto, il Comando Sommergibili, nella certezza di un imminente sbarco alleato, rende esecutivo il piano Zeta, schierando 11 unità, tra cui il Velella, a difesa del basso Tirreno. Alle ore 15 del 7, il Velella lascia Napoli. Quel giorno, il sottomarino inglese Shakespeare staziona a circa 5 miglia dal promontorio di Licosa. Alle 19.53 il Velella, diretto a sud-ovest, gli passa accanto navigando in emersione.

Fatale destino

Destino vuole che a quell’ora, contro la luce del crepuscolo, sia un bersaglio fin troppo evidente. Lo Shakespeare gli lancia contro sei siluri, uno dei quali lo colpisce in pieno, facendolo colare a picco. 22 ore dopo, Radio Algeri annuncia l’avvenuto armistizio, costringendo il maresciallo Badoglio, che ancora tentenna, a confermarlo da Radio Roma, con un proclama che si abbatte come un fulmine a ciel sereno su una nazione impreparata. Alle 21.10, il Maricosom trasmette l’ordine di cessare le ostilità. Ma il nostro sommergibile, ormai, non può riceverlo.

Dopo il ritrovamento del relitto, nel 2003, la memoria del Velella diventa una ragione di vita per Domenico Fabbricini, ormai settantenne. La sua missione è di quelle ineludibili: tornare ogni mese sul luogo dell’affondamento e gettare qualche fiore tra le onde. D’estate, un fascio di spighe di grano.

Fonte La Città di Salerno

In occasione della Festa dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate, il 4 novembre, con la collaborazione dell’ANMI di Castellabate e del Concerto Bandistico S.Cecilia, saranno deposte corone di alloro ai Monumenti ai Caduti nelle località di Santa Maria di Castellabate, San Marco di Castellabate e Castellabate, secondo il programma di seguito riportato.

S.MARIA DI CASTELLABATE

Ore 10,00 raduno p/za cavalieri di Vittorio Veneto, corteo per deposizione della corona presso il monumento dei Caduti in guerra in p/za Lucia;

S.MARCO DI CASTELLABATE

Ore 10,45 deposizione della corona alla lapide del Molo Velella;

CASTELLABATE

ore 11,00 deposizione della corona presso il monumento dei Caduti.

Il gruppo cisternese dell’Associazione nazionale marinai d’Italia compie 20 anni e per l’occasione organizza, domenica 20 settembre, una grande cerimonia pubblica che interesserà diverse zone del centro cittadino.

11219060_950593254963769_5040302315508747484_n

Come di consueto l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia ricorda i 51 marinai caduti col Sommergibile Velella il 7 settembre del 1943.

Nel 70° anniversario dell’affondamento del sommergibile “Leonardo Da Vinci”, l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia” Gruppo di Avellino, in collaborazione con il Comune di Taurasi, ha promosso la cerimonia d’inaugurazione del Monumento alla memoria del SC MN (smg) Antonio GIOVINO decorato di M.B.V.M. , illustre cittadino di Taurasi, il giorno 23 maggio 2013. Il Monumento è stato collocato nella ristrutturata Villa Comunale.

La Corazzata Roma dopo 69 anni dall’affondamento, finalmente è stata individuata. E’ stato possibile assegnare la corretta posizione ad uno dei più importanti Sacrari del mare per la Marina Militare.

La Corazzata Roma è stata individuata nel Golfo dell’Asinara dopo anni di ricerche. Un troncone del relitto è adagiata a circa 1000 metri di profondità a circa 15 miglia dalla costa sarda.

A dare la notizia un comunicato della Marina militare. La nave era stata affondata da due bombe tedesche il 9 settembre del 1943, con 1352 vittime.

Tra le vittime della Roma anche due marinai di Castellabate, Armando Tortora e Gifoli Amalio.

L’affondamento è il colpo più brutto ricevuto dalla Marina, nonché tragico dopo l’Armistizio. In rotta verso Malta per consegnarsi agli alleati, venne colpita dalle bombe guidate “Fritz X” lanciate dai tedeschi decollati da Marsiglia, per dare la caccia alla flotta italiana.

A 70 anni dall’affondamento, la Corazzata Roma è stata individuata nel nord della Sardegna.

Le prime immagini del relitto sono state eseguite dall’ Ingegner Guido Gay proprietario della Gaymarine, società leader nella progettazione e produzione di apparecchiature subacquee.

Con l’aiuto del ROV Pluto Palla ed altra strumentazione in dotazione al catamarano Daedalus il sito dove giace la corazzata Roma è stato visitato.

Presente sul Daedalus anche il personale della Marina Militare per la verifica delle riprese.

Le immagini a monitor inequivocabili dei pezzi di artiglieria contraerea della Roma separati dalla nave per le esplosioni.

A bordo della Roma morirono oltre ai 1.352 marinai, il comandante delle forze navali della regia Marina, l’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini.

622 i sopravvissuti.

CARATTERISTICHE TECNICHE

 

Nave

Roma

Classe  Littorio

Tipo

Corazzata

Cantiere

Cantieri Riuniti dell’Adriatico  San Marco – Trieste

Impostazione

18 settembre 1938

Varo

9 giugno 1940

Entrata in servizio

14 giugno 1942

DIMENSIONI

Lunghezza

240,70 metri

Larghezza

32,90 metri

Immersione

9,60 metri (vuota)

10,50 metri (a pieno carico)

DISLOCAMENTO

A pieno carico

46.215 tonnellate

Normale 44.050 tonnellate
Standard vuota 41.650 tonnellate
Di disegno 35.000 tonnellate

MOTORI

Caldaie

8 caldaie a coppie 

Turbine 4 turbine Belluzzo

Potenza

140.000 cavalli vapore

Velocità

30 nodi  

32 nodi raggiunti in prova

Combustibile

4.000 tonnellate

Autonomia

4.580 miglia marina a 16 nodi

PROTEZIONE

Prua inferiore: 100 – 249 mm.

media: 350 mm.

superiore: 61-129 mm.

Poppa inferiore: 100 – 162 mm.

media: 71 mm.

superiore: 104 mm.

Lanciasiluri 40.6 mm.
Torrette principali davanti: 289.5 mm.

lati: 210 mm.

dietro: 100 mm.

barbette laterali: 350.5 mm.

Torrette secondarie davanti: 134.6 mm.

lati: 61 mm.

dietro: 35.6 mm.

barbette laterali: 100 mm.

Ponte di comando 259 mm.

200 mm. corridoio di comunicazione

ARMAMENTO

Principale 9 x Ansaldo/OTO da 381 mm., modello del 1934, in 3 torri trinate, 2 a prua ed 1 a poppa
Secondario 12 x Ansaldo da 152 mm., modello del 1936 in 4 torri trinate
AAW 12 x OTO da 89 mm. in 12 torrette singole

20 x Breda da 37 mm. in 10 torri binate

20-28 x Breda da 20 mm. in torri binate

furono aggiunti numerosi cannoncini da 13.2 mm.

Altro 4 x 40 mm. mitragliatrici antiaeree

AEREI

Aerei 2 Reggiani Re 2000 con 1 catapulta di lancio

RADARS

Ricerca aerea Non presente
Ricerca di superficie Non presente
Controllo di tiro Non presente

EQUIPAGGIO

In tempo di pace 1.872
In tempo di guerra 1.960 

Fonte: WEB

La città di Ravenna è stata selezionata dal Consiglio Direttivo Nazionale dell’ANMI (Associazione Nazionale Marinai d’Italia) per essere teatro del Raduno Nazionale 2015.

La manifestazione si è tenuto dal 2 al 10 maggio. L’associazione marinai di Santa Maria di Castellabate, ha preso parte al raduno insieme al gruppo ANMI di Battipaglia.

La settimana vedrà la partecipazione di ben 1500 associazioni, oltre 10.000 marinai provenienti da tutta Italia e anche dall’estero.

Galleria fotografica della manifestazione tenutasi a Ravenna che ha visto la partecipazione di tutte le sezioni ANMI d’Italia.

Il raduno dal sito ufficiale

Giornata a Venezia durante il periodo del raduno Nazionale di Ravenna.