Motonave Alfieri dal 1943 al largo di Punta Tresino
“Il Vapore”. Cosi era chiamato il relitto della nave affondata nella seconda guerra mondiale che giaceva a 54 metri di profondità al largo di punta Tresino. Per me, fare quella particolare immersione era un’emozione in più, perché, a parte le difficoltà tecniche che si dovevano superare per scendere a quelle quote, c’era il mistero che avvolgeva quel relitto, di cui non si sapeva nulla. Il tempo è passato, e qualche tempo fa leggendo una rivista subacquea, ecco la storia della nave Alfieri.
La sfortunata storia della Motonave Alfieri si accomuna a quelle di altre e altrettanto sfortunate Navi che portavano il nome di letterati italiani, serie che prenderà il nome di “Classe Dei Poeti”. Dal 1942 cominciarono ad entrare in servizio per la Tirrenia undici navi uguali, lunghe 111 m. per una larghezza di 15. La stazza lorda era di circa 4.500 tonnellate e, grazie a motori diesel, potevano raggiungere i 14 nodi di velocità. Sette di queste navi furono costruite ai Cantieri Navali del Quarnaro, a Fiume, mentre le altre quattro furono realizzate ai Cantieri Navali Oto del Muggiano, a La Spezia.
La Classe Poeti
La prima fu la Ugo Foscolo, poi la Monti, la D’Annunzio, la Oriani, la Manzoni, la Tommaseo, la Alfieri, la Leopardi, la Pascoli e la Locchi. Tutte varate ed affondate tra il luglio 1942 ed il settembre del 1944.
La più fortunata fu la Borsi che scampò al tragico destino delle sue sorelle solo perché venne varata nel 1946, quindi a guerra finita.
La sorte delle “Navi dei Poeti” fu veramente tragica, con sopravvivenze brevissime, perché furono utilizzate per i rifornimenti in Africa settentrionale e coinvolte nella “battaglia dei convogli”. La nostra Alfieri era ben armata, con un cannone, due mitragliere fisse, due mitragliere quadruple, quattro mitragliere del Regio Esercito e un mitragliera da 37 mm che servirono all’equipaggio per vendere cara la pelle.
L’affondamento
Il 29 luglio 1943, mentre navigava da Messina a Napoli, fu attaccata da aerosiluranti inglesi e fortemente danneggiata. Il violento fuoco antiaereo dei nostri marinai colpì un Beaufighter che precipitò in mare, l’equipaggio si salvò ma fu fatto prigioniero (sulla storia dell’equipaggio del Beaufighter c’è un bel libro di Gladys E. Smith dal titolo “Forty Nights To Freedom”). Cosi scrisse nel suo rapporto il Comandante dell’ Alfieri, Vincenzo Morabito: “All’altezza di Capo Palinuro, a circa 25 miglia a ponente dello stesso, a proravia del convoglio
vennero avvistati aerei nemici che venivano incontro in formazione serrata. Erano otto siluranti e sei caccia. Due siluri colpirono la nave quasi contemporaneamente. Uno scoppiò all’altezza del barcarizzo e l’altro tra la stiva n.4 ed il locale macchine. La nave sbandò di oltre 30 gradi ma non affondò, l’equipaggio fu tratto in salvo e fu organizzato il rimorchio dell’Alfieri verso Napoli. L’abbattimento del Beaufighter, bruciava troppo agli inglesi e quindi il giorno dopo organizzarono una spedizione da Malta per completare il lavoro. Si alzarono in volo otto
Beaufighter del 39° Squadron, guidati dallo Squadron Leader Muller Rowland.
L’attacco
Trovarono la nave vicino alla costa di Punta Licosa, trainata da un rimorchiatore e scortata da due navi da guerra. Alle 16,45 la formazione fu attaccata dagli aerosiluranti inglesi, che finita la motonave già gravemente danneggiata il giorno prima, si buttarono a mitragliare la scorta (così scrisse nel suo diario il marinaio Brunello Danti imbarcato sulla nave di scorta Euterpe).
Le navi da guerra virarono attorno alla Motonave Alfieri che affondava. Colpita da due siluri, per tributargli l’ultimo saluto, e tornarono a Napoli, segnate da diversi colpi di mitragliatrice. La cattiva sorte delle “Navi dei Poeti”, Alfieri inclusa, fu dovuta essenzialmente al loro utilizzo in quel particolare momento storico.
Nella cosiddetta “Battaglia dei convogli” si ripeteva infatti, a parti invertite, la situazione dell’Atlantico. Mentre in Mediterraneo le forze dell’asse cercavano di mantenere i collegamenti ed i rifornimenti con il Nord Africa quelle alleate svolgevano il ruolo di cacciatori.
Il loro era un compito facile perché erano in grado di decriptare i messaggi segreti inviati da tedeschi ed italiani attraverso le macchine “Enigma”. In pratica conoscevano consistenza, rotta e persino gli orari previsti di transito di tutti i convogli. Quindi la strana similarità della sorte delle nostre navi non è dovuta ad una specie di maledizione ma semplicemente alla situazione bellica del periodo. Per concludere, l’unico fatto positivo fu che non ci furono vittime in tutti e due gli attacchi e quindi la nostra bella Alfieri non è una tomba di guerra.
Fonte: Acqua Marina