Il Polluce, una storia misteriosa e piena di intrighi storici.
Era la notte del 17 giugno 1841 quando il piroscafo Polluce affondava poco fuori le coste dell’isola d’Elba. L’affondamento avvenne dopo una collisione con il piroscafo Mongibello, trascinando sul fondo un carico di preziosi, monete e gioielli. [1]
Il Polluce piroscafo costruito presso i cantieri della Normand di Le Havre nel 1839, fu acquistato dalla compagnia di navigazione De Luchi-Rubattino, insieme alla sua gemella Castore. Equipaggiata con motore a vapore di fattura inglese, erogava una potenza di 160 CV che muoveva le due ruote a pale laterali in grado di raggiungere una velocità di 10 nodi. Faceva base nel porto di Genova dove entrò in servizio nell’aprile 1841 coprendo la tratta Marsiglia – Genova – Livorno – Civitavecchia – Napoli. [2]
La collisione
Alle 23,45 del 17 giugno il Polluce venne in collisione con il piroscafo Mongibello, a largo dell’isola d’Elba a poche miglia da Capo Calvo.
La vapore napoletano Mongibello, dopo il sinistro, si trovò al centro di una vicenda poco chiara ma dai possibili risvolti politici di importanza storica. Per fortuna le persone presenti a bordo tra passeggeri ed equipaggio riuscirono a salvarsi tutti, tranne Antonio Castagliola Capitano napoletano fuori servizio che dormiva in coperta dietro la ruota di sinistra.
La dinamica dell’incidente fa pensare che lo speronamento sia stato un fatto volontario. Si presume che il Polluce aveva a bordo qualcosa che non doveva giungere a Genova, magari aiuti finanziari forniti dagli inglesi ai patrioti italiani.[2]
Causa ai vapori napoletani
La compagnia di Rubattino intentò causa ai vapori napoletani, vincendo il processo svoltosi a Livorno nel 1842, ma non fu mai risarcito, allo stesso modo i passeggeri, perché la nave non era assicurata.
Rubattino poco dopo, cercò di recuperare il relitto e soprattutto il carico, con un’impresa alquanto ardita per l’epoca. Tentarono di far risalire il relitto con un sistema di catene, che stringendosi sotto la carena del piroscafo avrebbe iniziato a tirarlo su. Il tentativo fallì perché la catena si spezzò a causa di un bastimento che spinse un po’ troppo. L’albero del piroscafo era appena fuoriuscito dall’acqua, ma finì di nuovo sul fondo.
Tutti i dettagli quel recupero si conoscono grazie a Cesare de Laugier, colonnello napoleonico natio dell’Elba. Il libretto era composto da 48 pagine, e pubblicato dopo una settimana dal tentativo di recupero nel novembre 1841.
Poco dopo una società di Livorno tentò di individuare il relitto ma non vi riuscì, lo stesso fece il Ministero della Guerra di Parigi. [2]
La ricerca da parte della SORIMA
Il sindaco dell’Elba, agli inizi degli anni 20, provò più volte a individuarlo. Nel 1936 la So.Ri.Ma. (Società Ricuperi Marittimi) di Genova, società specializzata in attività navali di recupero ed operazioni subacquee ad alta profondità, pare riuscì a localizzare il relitto, ma dovette abbandonare a causa di un lavoro urgente in Sardegna.
Quando i palombari della So.Ri.Ma. abbandonarono l’isola d’Elba, quella del Polluce rimase solo leggenda.
Un francese si impossessò degli atti del processo che per anni erano rimasti sconosciuti. Questi pare li avrebbe successivamente venduti ad una società inglese. [2]
La depredazione da parte degli inglesi
Nel 2000 un gruppo di inglesi attraverso il consolato britannico di Firenze chiese il permesso per effettuare un’operazione di recupero di un carico d’alluminio dal relitto del Glenlogan. Mercantile inglese affondato nel 1916 da un U-boot che giace in fondo al mare di Stromboli, ma segnalando le coordinate del relitto del Polluce.
Nessuna Autorità competente si rese conto che quelle coordinate indicavano un punto diverso e diedero l’autorizzazione. Affittato il rimorchiatore a Genova, dove era installata una gru con benna, iniziarono le operazioni di recupero.
Dopo 21 giorni di lavoro, gli inglesi ripartirono con i gioielli recuperati, il valore era di circa un milione e mezzo di Euro tra monete d’oro e argento, monili dell’Ottocento, vasellame, cristalli e orologi). Alla Capitaneria di Porto italiana dichiararono di aver recuperato una piccola parte del carico dal Glenlogan. [3]
La restituzione all’Italia
Mentre alle autorità inglesi diedero una versione diversa. Dichiararono di aver trovato molto materiale, ma su un relitto situato in acque internazionali (garanzia di proprietà del recupero nel caso che nessuno ne reclami i diritti). Un’indagine svolta dai Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Firenze, nel 2002, portò al sequestro da parte di Scotland Yard della refurtiva presso la casa d’aste londinese Dix Noonan Webb, e riconsegnata all’Italia.
Il recupero mediante benna fu talmente invasiva da aver compromesso l’integrità del relitto, ma soprattutto la mancanza della quasi totalità delle monete d’oro. Questo ha decretato la perdita di un grosso patrimonio finita sicuramente sul mercato nero, ma soprattutto una perdita storica. [3]
Lo studio sul relitto
Nel 2004 sul sito furono fatti degli studi per recuperare quanto ancora giaceva sul fondo, dopo che gli inglesi lo avevano depredato. Lo studio fu eseguito per opera dell’HDS della ditta Marine Consulting di Ravenna e Capmar Studios che sponsorizzarono l’operazione, in collaborazione con il Ministero dei Beni Culturali, della Soprintendenza a Beni Culturali della Toscana e del Comune di Porto Azzurro.
Un recupero importante è avvenuto nell’ottobre del 2005 con un recupero molto importante del carico, prima operazione al mondo eseguito con le moderne tecnologie dell’immersione in saturazione.
Durante i lavori sul relitto, sono emersi blocchi di monete in perfetto stato, racchiuse in contenitori di piombo. Tante migliaia di colonnati spagnoli d’argento, decine di monete d’oro da 20 franchi francesi. Oltre ai monili sono stati recuperati anche oggetti d’uso comune che sono stati consegnati alle autorità competenti.
Nel 2014 la Marina, con l’utilizzo dell’Anteo e del GOS, hanno recuperato altre monete, che si aggiungono a quelle recuperate nel 2007 e 2008. Grazie all’utilizzo del ROV PEGASO che ha aiutato il personale nel recupero. Il ROV PEGASO Un sofisticato sistema robotico dotato di bracci manipolatori, telecamere ad alta definizione e sonar di ultima generazione, che può raggiungere i 2.000 metri di profondità. [2]
L’oro dell’Elba: Operazione Polluce
Da questa vicenda è stato scritto un libro “L’oro dell’Elba: Operazione Polluce“, di Enrico Cappelletti e Gianluca Mirto. Un’inchiesta condotta con rigore nella ricostruzione degli eventi e anche con una vena di avventura, tra intrighi internazionali e storie misteriose che hanno attraversato i secoli tra dicerie e leggende.
L’enigma del Polluce
Dopo il libro è la volta di un documentario dal titolo L’enigma del Polluce, regia di Pippo Cappellano. In colaborazione con MINISTERO per i BENI e le ATTIVITA’ CULTURALI, SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DELLA TOSCANA, MINISTERO DELLA DIFESA MARINA MILITARE, COMANDO CARABINIERI per la Tutela del Patrimonio Culturale, CENTRO CARABINIERI SUBACQUEI di Genova.
Sponsor ufficiali dell’operazione:
THE HISTORICAL DIVING SOCIETY ITALIA, MARINE CONSULTING, COOP NAZIONALE SOMMOZZATORI, CAPMAR STUDIOS.
FONTE:
- wikipedia
- Difesa online
- Focus n°129 06/2003
- L’oro dell’Elba ISBN 88-87913-52-8