I marinai di Castellabate – La battaglia di Rodi.
All’8 settembre 1943, data dell’armistizio italiano, era governatore del Dodecaneso, delle Cicladi e delle Sporadi Settentrionali l’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, con sede a Rodi. Al Comando della zona militare delle isole italiane dell’Egeo soprintendeva invece il contrammiraglio Carlo Daviso di Charvensod, da cui dipendevano i servizi militari delle isole sopra citate.
A causa della mancanza di direttive dai Comandi centrali, della penuria di informazioni sulla situazione generale delle Forze armate italiane e quindi in mancanza di ordini precisi da seguire, il Comando Superiore delle Forze Armate (Egeomil), stanziato anch’esso a Rodi, si trovò davanti ad una situazione decisamente difficile, dovendo scegliere se continuare a combattere con la Wehrmacht o se restare fedele al re Vittorio Emanuele III. Come altri reparti italiani, i comandanti decisero di considerare il vecchio alleato germanico come un nemico, determinando così l’invasione dell’isola da parte delle truppe tedesche.
11 settembre
Alle ore 7:00 incursioni aeree tedesche colpirono la batteria Majorana e la stazione radio della marina mettendola fuori uso. Arrivò anche, un colonnello inglese che fu portato subito dal governatore, il qualche chiese ancora una volta di effettuare azioni diversive e di fornire almeno dei caccia per limitare le azioni della Luftwaffe.
Il colonnello chiese se si riteneva possibile un imminente attacco alla città di Rodi e per quanto tempo la guarnigione italiana avrebbe potuto resistere. Dopodiché fu subito riaccompagnato al porto dove prese il largo per Castelrosso.
Il motivo di tanta fretta fu perché alle 8:00 giunse un ufficiale della divisione Regina scortato da un ufficiale della Rhodos: l’italiano portava un messaggio del generale Scaroina che chiedeva di poter porre fine ai combattimenti che si stavano svolgendo nel sud dell’isola, ma Campioni rispose che questi dovevano proseguire in attesa di incontrare il generale Kleemann.
Comunicazioni di resa
Alle 10:30 altri due ufficiali della Wehrmacht comunicarono al Comando italiano le condizioni di resa dettate dall’OKW, cioè la cessazione delle ostilità in tutta l’isola, il rilascio dei prigionieri tedeschi e la resa senza condizioni delle truppe italiane.
L’ufficiale tedesco aggiunse che le decisioni definitive sarebbero state concordate con Kleemann, e che il Governatore aveva mezz’ora di tempo per decidere, dopodiché sarebbe stato ordinato un attacco aereo sulla città di Rodi.
Campioni fece il punto della situazione con il suo Stato Maggiore: vista l’impossibilità di ricevere aiuti dagli inglesi, la critica situazione militare (erano rimasti solo quattro pezzi di artiglieria, la batteria Majorana e tre batterie contraeree, anche se reparti dell’esercito continuavano a resistere) e per evitare anche la morte di civili, si decise di trattare per la fine dei combattimenti. Nel frattempo circolò la falsa notizia che alcuni carri armati tedeschi erano entrati in città, per cui alcuni natanti presero il largo di propria iniziativa seguiti a breve da altri convinti di eseguire ordini che non potevano essere ricevuti; l’ammiraglio Daviso ordinò poi loro di dirigersi a Lero.
Alle 15:30 il governatore, il generale Forgiero e l’ammiraglio Daviso si recarono in una località vicino Rodi città per incontrare Kleemann.
Alla fine della riunione fu deciso che:
- Campioni avrebbe continuato a ricoprire la sua carica;
- i reparti italiani sarebbero rimasti intatti ma dovevano essere disarmati (gli ufficiali potevano però conservare la loro arma);
- il Comando tedesco sarebbe rimasto fuori dalla città di Rodi e nessuna loro unità vi sarebbe entrata, salvo occasioni particolari.
Gli italiani distrussero i documenti segreti e i cifrari, ma si mantenne una postazione radio clandestina in una casa di contadini; si informò anche il Governo a Brindisi, ma non è chiaro se la comunicazione raggiunse il destinatario.
Le truppe italiane reagirono negativamente alla notizia della resa. In alcuni casi avevano arginato in maniera efficace gli attacchi tedeschi, e si credeva che questi ultimi avessero ormai poche munizioni e scarso carburante; addirittura qualche soldato accolse la notizia della resa credendo si parlasse di quella tedesca, tanto era evidente la situazione di vantaggio del suo reparto sul nemico che aveva davanti.
La resa Italiana
La resa degli italiani comportò ai tedeschi il grave problema di cosa fare con così tanti prigionieri. Anche perché non erano disponibili imbarcazioni per trasferirli tutti in altre isole. Le prime due forze a essere disarmate furono la Regia Aeronautica e la Regia Marina. Perché queste decise fermamente a non collaborare e quindi potenzialmente più pericolose del Regio Esercito. Dopo aver obbligato il governatore Campioni a ordinare la resa delle sue truppe a Scarpanto, con la minaccia di un attacco aereo, il generale Kleemann, che ora era al comando di Rodi, tentò di fare lo stesso con Coo e Lero, ma stavolta Campioni non diede nessun ordine. Ben presto i tedeschi si installarono nel Comando italiano e gradualmente furono fatti evacuare tutti gli alti ufficiali italiani, compreso Campioni.
Durante questo periodo furono molti gli italiani che tentarono la fuga via mare per sottrarsi alla prigionia.
Spesso i tentativi finirono male e gli uomini morivano in mare o venivano scoperti dai tedeschi. A volte comunque le fughe avevano successo e, dopo una faticosa navigazione nell’Egeo, i soldati approdavano a Coo o a Lero.
Il 19 settembre circa 1.800 uomini dell’aviazione e della marina furono imbarcati sulla motonave Doninzetti catturata dai tedeschi per essere trasferiti. Durante il viaggio due cacciatorpediniere inglesi, l’Eclipse e il Fury, affondarono la nave provocando la morte di tutti gli occupanti. Il 12 febbraio 1944 un’altra nave, il piroscafo Oria, urtò uno scoglio vicino all’isola di Gaidaro e morirono 4.062 prigionieri. Altri soldati invece furono introdotti nell’ambiente civile greco dai comandanti italiani per evitarne la cattura; pochi invece furono quelli che aderirono alla causa tedesca o repubblichina.
In totale abbandonarono l’isola circa 1.580 militari, i dispersi furono 6.520 e vennero eseguite 90 fucilazioni dai tedeschi, 40 delle quali senza processo.
Tra i caduti di Rodi, il marinaio di Castellabate Apicella Raffaele.
Fonte: Wikipedia